Quando nei suoi occhi cala l’oscurità trova nello sport la luce della vita.

foto di Dario mentre gioca a showdown

Colpito da retinite pigmentosa, Dario Merelli è diventato un campione di goalball e ora guida gli atleti di «Omero».

Per avere del talento, dobbiamo essere convinti di possederne» scriveva Gustave Flaubert.

Ed è stata questa la salvezza di Dario Merelli, scoprire di che cosa era capace, quanto poteva esprimere, al di là dei limiti fisici.

Malato dalla nascita di retinite pigmentosa, a ventidue anni è diventato cieco: «Fino ad allora – racconta – avevo condotto una vita quasi normale, giocavo a calcio, andavo in moto. Per un anno non sono più uscito di casa, mi sentivo confuso. Ho pensato al suicidio, ho tentato, perfino, ma non ci sono riuscito. È stato il punto di svolta: ho capito che dovevo accettare quello che mi era successo e andare avanti. Ho promesso a me stesso che avrei fatto di tutto per evitare che altre persone potessero sentirsi in quel modo, così smarrite, disperate, com’era stato per me. 

Poi sono arrivati una medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Barcellona del 1992, il Collare d’oro per meriti sportivi dal presidente della Repubblica, oltre trent’anni di lavoro come fisioterapista all’Ospedale di Bergamo; ora Dario Merelli, a 55 anni, è anche presidente dell’associazione sportiva dilettantistica disabili visivi Omero, che organizza attività per bambini e ragazzi ipovedenti e non vedenti.

LA PRIMA DIAGNOSI SBAGLIATA

Quando ero piccolo – ricorda Dario – inciampavo, cadevo, ero goffo. Ricordo un pomeriggio nel salone della parrucchiera con mia madre. Le era caduto un becco d’oca , mi aveva chiesto di raccoglierelo , ma non riuscivo a trovarlo .

Così mi ha portato dall’oculista , ma mi hanno diagnosticato una semplice miopia e mi hanno curato per quella . Mia madre , però , preoccupata per il continui peggioramenti , quando avevo 10 anni si è rivolta a un altro specialista a Seriate , che ha individuato la retinite pigmentosa.

Da allora trascorrevo dieci giorni l’anno ricoverato in ospedale: non esistevano vere e proprie cure , le terapie tendevano soprattutto a rallentare la malattia”. Dario ha smesso di studiare dopo le medie proprio a causa della sua patologia: ” Non riuscivo a leggere , mi vergognavo a dirlo , allora non c’erano i supporti tecnologici di oggi , ed ero orgoglioso , ammettere la mia disabilità mi costava molto . Ho preferito dire che volevo andare a lavorare , anche se i miei genitori avrebbero preferito che proseguissi gli studi”.

L’INGRESSO IN FABBRICA

Allora abitavo tra Bracca e Selvino, e le occasioni di lavoro non mancavano , anche vicino a casa. Ho fatto l’operaio in un cantiere edile, il fabbro, poi, in assenza di un occupazione stabile, facevo un po’ di lavoretti saltuari. A un certo punto sono entrato in fabbrica. Quello è stato il periodo peggiore della mia vita: non imparavo nulla, non mi sentivo al posto giusto . Ho attraversato una profonda crisi.

È stato un incontro casuale a cambiargli la vita: ” Una volta ero andato a trovare dei parenti a Sedrina . Entrando nel loro palazzo , come spesso mi capitava , il brusco passaggio dalla luce al buio mi aveva fatto perdere l’equilibrio . Un signore , vedendomi in difficoltà , si è avvicinato ai miei genitori è così , in 2 minuti , gli aveva raccontato che conosceva una scuola per massaggiatori non vedenti a Firenze e che sarebbe stata una bella possibilità per me , che poi ci avrebbe pensato lui a trovarmi un lavoro . In quel momento , però , avrò avuto quindici o sedici anni e ci vedevo ancora , avevo archiviato quindi quella proposta senza pensarci troppo . Mi è tornato in mente anni dopo , ho incominciato a ragionarci seriamente”.

A SCUOLA DI MASSAGGI

A 22 anni , quando ormai non ci vedevo quasi più , dopo due incidenti in moto in una settimana , Dario si è arreso all’ evidenza e si è iscritto al Unione Italiana dei ciechi: ” Il Presidente di allora mi ha detto che avevo le mani adatte per fare il massaggiatore . Mi ha insegnato i fondamenti , un po’ di Braille , come muovermi senza usare la vista”.

Finalmente è arrivato il momento di partire per Firenze: ” quando sono arrivato lì , è cambiato tutto . Ho incontrato altre persone come me , ho imparato ad andare in giro con il bastone , a prendere il tram da solo e ha orientarmi . Potevo di nuovo uscire , andare al bar o ai concerti .

Pochi mesi dopo ho deciso di tornare a casa per qualche giorno a trovare i miei . Ho preso il treno alle quattro del mattino a Santa Maria Novella, ho cambiato a Milano , sono salito sulla metropolitana , poi sull’autobus fino a Bergamo , da lì a Zogno , e poi fino a casa . Quando sono arrivato , mia madre si è messa a piangere , perché non si capacitava che avessi fatto tutto quel viaggio da solo . Ho recuperato la libertà , l’autonomia , ho potuto fare tante cose che prima consideravo inimmaginabili”.

L’INCONTRO CON LA FUTURA MOGLIE

A scuola Dario ha preso coscienza di sé e delle sue possibilità:
“Ho elaborato un metodo di studio personale , e riuscivo bene anche nelle materie di cultura generale , pur non avendo un diploma come altri miei compagni . Ce la mettevo tutta , avevo imparato a registrare le lezioni in classe e ha farne una sintesi vocale , e così facevo anche con i libri . Per ripassare usavo le mie sintesi . Funzionava benissimo . Era un corso molto selettivo: alla fine del primo anno su due classi di quindici, solo in due – un mio compagno e io – siamo stati promossi a giugno e altri quattro a settembre”.

A Firenze ha conosciuto sua moglie Silvia: ” è stato un colpo di fulmine . Frequentavamo lo stesso corso , lei al primo anno io al secondo . Non è stato semplice decidere di sposarci , abbiamo dovuto rifletterci molto; entrambi non vedenti , anche lei a causa della retinite pigmentosa, sapevamo che avremmo avuto grandi difficoltà . Ci siamo chiesti se saremmo stati in grado di cavarcela , e abbiamo deciso di sì . Dico sempre che l’amore è più cieco di noi”.

Dopo il matrimonio , Dario si è diplomato e ha trovato lavoro a Bergamo , e la moglie Silvia , che nel frattempo aveva dovuto sospendere gli studi per motivi professionali , l’ha seguito , ed è riuscita a trovare un impiego come centralinista in una banca .
” Più tardi ha completato comunque il diploma – sorride Dario – ma ha deciso di non cambiare professione , perché si trovava bene lì”. Lui invece si è sempre occupato di riabilitazione: ” Mi sono specializzato in particolare nelle terapie di recupero della mano .

Non abbiamo avuto figli ma ci siamo dedicati molto agli altri , con attività di volontariato . Credo che ognuno di noi sia chiamato a lasciare una traccia nel mondo , anche noi ci siamo impegnati a farlo , cercando di costruire qualcosa”.

Nel frattempo Dario aveva incominciato una entusiasmante carriera sportiva: aveva iniziato negli anni di scuola a giocare nelle squadre di goalball e torball, due discipline simili alla pallamano , ma con regole adatte anche ad atleti non vedenti . ” Mi ha convocato la nazionale e così nel 1988 ho partecipato alle mie prime Paralimpiadi a Seoul con la squadra di goalball. Ho ancora impresso nella mente il momento in cui siamo entrati in quello stadio , con 120 mila persone che applaudivano, per sfilare con tutti gli atleti della rappresentanza italiana . Il cuore mi batteva fortissimo , e stato un’emozione indescrivibile”. Quell’anno la squadra italiana di goalball si è classificata all’ottavo posto , ma nel 1992 a Barcellona ha conquistato l’oro: ” una grandissima soddisfazione “. Dario è tuttora preparatore atletico delle nazionali di goalball e torball.

IL SUCCESSO NELLO SPORT

Le cose migliori è più belle di questo mondo non possono essere viste e nemmeno ascoltate , ma devono essere sentite col cuore”.

Helen Keller

Ed è così che lui considera la sua condizione: non solo un handicap , ma una possibilità di sviluppare capacità diverse . ” È quello che cerco di far capire ai ragazzi non vedenti e alle loro famiglie: è importante frequentare altre persone che hanno le stesse difficoltà , perché ci si può aiutare a vicenda , inventare insieme nuove soluzioni . Per superare gli ostacoli bisogna diventare creativi”.

Proprio per questo Dario si impegna molto nelle attività dell’associazione Sportiva Omero , che presiede da due anni .” Sono molte le nostre proposte: nuoto per bambini a partire dai due anni, torball, goalball, atletica leggera , calcetto per ipovedenti , gite , campeggio .

Stiamo pensando anche di formare una squadra di baseball, ce ne sono ancora poche , undici in tutta Italia, sarebbe bello averne una anche a Bergamo . E poi stiamo sperimentando lo show-down, ping pong per ciechi e ipovedenti: abbiamo alcuni campi al Palazzetto dello Sport , in città . Si gioca su un tavolo simile a quello del ping pong tradizionale , ma i giocatori sono bendati , usano palline sonore e una tavoletta di legno per difendere la porta dai tiri dell’avversario”.

L’associazione per sostenersi organizza su richiesta anche ” cene al buio “, in cui tutti possono sperimentare per qualche ora la condizione dei non vedenti , sottoscrizione a premi e feste , e svolge anche una preziosa azione di informazione e sensibilizzazione.

TAPIA TRA I SUOI ALLIEVI

” Tra i miei allievi – racconta Dario con un pizzico d’orgoglio – ho avuto anche Oney Tapia, atleta paralimpico e star di Ballando con le Stelle. Sento la responsabilità di aiutare le persone non vedenti e ipovedenti , soprattutto i bambini , a superare pregiudizi e paure . È giusto che abbiano a disposizione tutti gli stimoli necessari per sviluppare le proprie capacità fisiche e intellettive . Se la vista non funziona bisogna darsi da fare per imparare a usare tutti gli altri sensi . Non basta studiare , bisogna acquisire anche abilità pratiche . Nessuno merita di sentirsi solo e disperato: perciò dedico la mia vita ad aiutare bambini e ragazzi non vedenti a credere in sé stessi , nei loro sogni e a non arrendersi mai”.

INTERVISTA SU ECODIBERGAMO.IT
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